Due anni di indagini ha richiesto l'operazione che ha permesso ai carabinieri del nucleo per la Tutela del patrimonio culturale di Bari di riportare in Italia un prezioso dipinto di Artemisia Gentileschi dal valore di oltre 2 milioni di euro. L'opera in questione, intitolata “Caritas romana” e appartenuta ai conti D'Acquaviva D'Aragona di Conversano, era stata esportata illecitamente in Austria dai proprietari per massimizzare il ricavo economico derivante dalla vendita all’estero. I carabinieri del nucleo Tpc di Bari, una volta rintracciato il dipinto in una casa d’aste di Vienna, la Dorhoteum per la precisione, lo hanno sottoposto a sequestro, in esecuzione di un provvedimento di freezing previsto dal regolamento europeo 1805/2018 ed emesso dalla procura barese. Determinante - hanno sottolineato gli investigatori - è stato il supporto dell’ambasciata italiana in Austria, della polizia austriaca e di Eurojust.
Michele Forte e Domenico Iannuzziello, sono questi i nomi dei due proprietari della Caritas romana, data loro in lascito dall'ultimo discendente dei conti D'Acquaviva per il quale i due uomini avevano a lungo lavorato, si sono rivolti all'Ufficio Esportazione di Genova per svolgere le pratiche di trasferimento del capolavoro della Gentileschi. Secondo quanto riportato dagli investigatori, i due avrebbero ottenuto un attestato di libera circolazione viziato però “dalla erronea rappresentazione e valutazione dei fatti posti a base della decisione della Commissione consultiva”. Forte e Iannuzziello, infatti, hanno omesso l'attribuzione dell'opera ad Artemisia Gentileschi ed il legame del dipinto con il Castello di Conversano, dove il quadro era conservato, e hanno inoltre dichiarato che il capolavoro valesse circa 10 volte di meno rispetto al suo reale prezzo di mercato. Ora i due uomini sono entrambi indagati per truffa ed esportazione illecita di beni culturali.
Il successo dell'operazione non ha però fermato gli accertamenti delle autorità, che adesso sono all'opera per verificare la possibile esistenza di una rete che gestisce l'esportazione illecita di quadri. A far nascere il sospetto è un altro capolavoro proprio della Gentileschi, la “Lucrezia”, appartenuto alla famiglia Jatta di Ruvo di Puglia e battuto all'asta per 1,8 milioni il 23 dicembre 2018. L'opera è stata venduta nella stessa casa d'aste viennese, la Dorhoteum, in cui è stata sequestrata la Caritas romana, è stata portata in Austria dalla stessa ditta fiorentina di logistica, la Fracassi Worldwide Shipping, alla quale hanno fatto ricorso anche Forte e Iannuzziello per il trasporto del loro dipinto, e l'autorizzazione per lo spostamento all'estero della tela è stata rilasciata anche in questo caso dall'Ufficio Esportazione di Genova. Troppe coincidenze per non dover appurare se anche cinque anni fa un grande capolavoro della Gentileschi è stata sottratto indebitamente al patrimonio culturale italiano.
Sicuramente le autorità dovranno inizialmente capire perché sia nel caso della Caritas romana che della Lucrezia i rispettivi proprietari si siano rivolti proprio all'Ufficio Esportazione di Genova, quando esiste un analogo istituto anche a Bari. Tra l'altro l'Ufficio di Genova ha già richiamato l'attenzione delle autorità, in particolare del gip Isabella Valenzi, che ha espresso diversi dubbi in relazione all'operato dei funzionari che hanno autorizzato lo spostamento della Caritas romana, in quanto - ha spiegato la giudice - l'autorizzazione a far uscire il dipinto dall'Italia è stata corredata da una “motivazione palesemente carente”, perché non basata su alcune verifiche imposte dalla legge.
Intanto pochi giorni fa i due proprietari della Caritas romana, Forte e Iannuzziello, hanno professato la loro innocenza rispetto ai reati per i quali sono indagati, dichiarando a la Repubblica che “l'esportazione del dipinto è stata effettuata osservando scrupolosamente tutte le norme vigenti in materia”. “In particolare - specificano i due - è stata richiesta e ottenuta, dai preposti uffici facenti capo al ministero dei Beni culturali, l'attestazione di libera circolazione dell'opera, previa dichiarazione, in buona fede, di tutti i dati obbligatori richiesti dalla procedura, avvalendosi della consulenza di esperti del settore”. Anche gli amministratori della Fracassi Worldwide Shipping, la ditta che si è occupata del trasporto dei quadri della Gentileschi in Austria e che al momento non è indagata nell'inchiesta barese, hanno voluto precisare, sempre a la Repubblica, che il coinvolgimento della compagnia non rientra in una “coincidenza anomala” ma rappresenta semplicemente “la normale attività da noi svolta quotidianamente sul mercato dei servizi per l'arte”.