Foto: Maria Lai, scialle delle Janas 1996, Courtesy Archivio Maria Lai by Siae 2022. phGiorgio Dettori
“L’arte di tessere la libertà” s’intitola la mostra ospitata nelle sale della Biblioteca Apostolica che apre le proprie porte a Maria Lai, la grande artista sarda, nata a Ulassai nel 1919, scomparsa a Cardedu nel 2013. Dopo la prima iniziativa, l’anno scorso dedicata all’arte del giovane Pietro Ruffo, è questa la seconda tappa di un ideale percorso dedicato agli artisti contemporaneo posti in relazione con il patrimonio delle grandi biblioteche, con la ricchezza di immagini, di parole scritte, di pensieri e oggetti d’arte in esse conservati. ”Maria Lai incontra la Biblioteca Apostolica Vaticana”, il sottotitolo.
Un incontro che assume la dimensione di “un percorso ritrovato”, precisa nel catalogo edito da Biblioteca Apostolica Vaticana, Barbara Jatta, direttore dei Musei Vaticani. “Un dialogo vitale perché la simbiosi fra parole scritte, pensieri e oggetti estetici si rivela alle radici stesse del nostro stare nel mondo, sempre caratterizzato e animato da una tensione trascendente”. Le opere dell’artista in mostra, scelte dai curatori, Micol Forti dei Musei Vaticani, Simona De Crescenzo, Giacomo Cardinali e Delio Proverbio della Biblioteca, appaiono in armonia con i materiali esposti, anzi sono in grado di suscitare inaspettate relazioni e corrispondenze. In un ambiente fortemente connotato come una biblioteca storica, qualsiasi inserimento può suscitare perplessità, disagio. L’armonia del diverso non poteva a priori considerarsi scontata.
Appare subito, fin dall’inizio questa sorta di doppio registro. Sulla parete di destra entrando spicca il grande lenzuolo realizzato nel 1989 in stoffa bianca e filo scuro (143 per 230 cm), un libro costituito da tanti fogli scritti messi ad asciugare, l’uno accanto all’altro e nelle vetrine antichi testi ricoperti da preziosi tessuti policromi e vecchi telai. Da un lato libri legati con lo spago di Maria Lai, dall’altro il “Martirio di Sant’Eustachio”, preziosi manoscritti etiopici in carta, pergamena, tessuto in lingue e dialetti dei cinque continenti e legature in pelli, stoffe, avorio, pietre dure, metalli, conchiglie. E su appositi leggii aperti, libri che grondano colore: rossi, blu, dalle sfumature dorate.
“La scrittura mi ha suggerito un rapporto fra l’inchiostro e il filo e la possibilità di dare corpo ad un fatto astratto, Così sono nati i libri cuciti a macchina, illeggibili. Il pane e il filo sono di per sé materie cariche di significato: il pane è la vita, il filo nel mito di Arianna aiuta ad uscire dal Labirinto (linguaggio), è il filo del discorso (la comunicazione)”, scriveva nel 1978 Maria Lai. L’incontro con l’universo del linguaggio e della scrittura è fondamentale nella ricerca dell’artista che troverà in Mirella Bentivoglio la curatrice perfetta della sua mostra “Materializzare il linguaggio” presentata nel 1978 ai Magazzini del Sale alle Zattere nell’ambito della 38 Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia. E’ qui che vengono esposti i primi libri cuciti e illeggibili. Che apparentemente parlano un idioma incomprensibile. Eppure l’artista scrive il suo messaggio e disegna, unendo visibile e invisibile. Il filo entra ed esce dal supporto, creando vocali e consonanti, forme d’interpunzione, singole parole e lunghe frasi… Infine il filo abbandona le parole, fuoriesce dal recinto del foglio e, libero si allontana: ribelli filamenti aggrovigliati diventano barbe indisciplinate, scampoli di pensieri, babele di linguaggi”, scrive Micol Forti che dedica alla forma linguaggio di Maria Lai grande attenzione. Altrettanta cura rivolge ai libri che nascono da pratiche artigianali: libri in terracotta, in terraglie, impressi, patinati, smaltati, libri-fiori, libri-reperti estratti da uno scavo, libri-fossili, testimoni di civiltà perdute, libri avvolti in residui di stoffe colorate, libri custoditi in coperte di pane.
E poi ci sono le “Janas” figure leggendarie, notturne, legate al culto dei defunti, in parte streghe, in parte fate, capricciose e imprevedibili che sovrintendono ai lavori manuali delle donne per le quali Maria realizza uno scialle, lo “Scialle delle Janas”, una cascata di tavolette in terracotta smaltata e dorata, su cui sono impressi motivi decorativi di tessuti tradizionali. Tutto ha origine dal racconto “La leggenda del Sardus Pater” dell’amico scrittore Giuseppe Dessì. E’ la storia di un dio annoiato che capita in una Sardegna non ancora abitata dall’uomo. Maria rimane affascinata dal racconto e nel 1990 decide di scrivere un libro – fiaba, composto non di parole, ma di immagini. “Il dio distratto” s’intitola il libro che racconta usando tessuti colorati, ricami, fili argentati e dorati. Un libro illustrato da sfogliare che rivela un universo poetico, che stimola emozioni e ricordi, attribuendo alle Janas, quindi all’universo femminile, l’invenzione dell’alfabeto e del linguaggio.
Infine l’ultima scenografica proposta. Al centro della Biblioteca Barberini col bronzo berniniano di Urbano VIII, è stato allestito un “Invito a tavola”. Vuote le scaffalature seicentesche che hanno ospitato migliaia di libri nei secoli, una tovaglia di lino grezzo copre la tavola imbandita di libri aperti e pani, tutti in terracotta refrattaria con tracce di fili e antichi alfabeti.
I commensali se ne sono andati, ma il cibo non è finito. Il pane e i libri offrono un nutrimento sconfinato.
Biblioteca Apostolica Vaticana. Visitabile fino al 15 luglio 2022 ogni mercoledì dalle ore 16.0 alle ore 18.00 previa prenotazione sul sito della biblioteca (https://www.vaticanlibrary.va)