Un elmo rinvenuto nel 1930 ed esposto quasi subito insieme al resto del corredo nelle stanze del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma ha rivelato dopo quasi cento anni il segreto che custodiva da quasi 2.400 anni: il copricapo fu indossato da “Harnste”, forse un guerriero originario di Perugia, o un rivale ucciso su uno sconosciuto campo di battaglia, che lo portò con sé in una tomba a Vulci (Viterbo).
La breve incisione etrusca “Harnste” che si trova al suo interno – afferma il Museo in un comunicato – era fino ad oggi sfuggita all’attenzione di tutti, malgrado l’attenzione con cui Ugo Ferraguti e Raniero Mengarelli – autori del ritrovamento – avevano manipolato i materiali ritrovati dal 1928 nel corso di fortunate campagne di scavo svolte nella necropoli dell’Osteria di Vulci.
Siamo di fronte alle prime ricerche archeologiche svolte con metodo scientifico moderno nell’antica città etrusca, in seguito a secoli di saccheggi frequentissimi. La morte precoce dei due scavatori ha impedito fino ad oggi la loro divulgazione per problematiche associate anche all’analisi della documentazione di scavo.
Una recente operazione di digitalizzazione e controllo dello stato di conservazione di alcune armi presenti nelle collezioni del Museo ha condotto all’insperato ritrovamento. Gli esiti della scoperta scientifica dell’iscrizione e di una sua possibile proposta di interpretazione compariranno sul prossimo numero della rivista “Archeologia Viva”.
Se si escludono gli esemplari con dediche votive e un insieme di 60 elmi (su 150), tutti caratterizzati dallo stesso gentilizio, ritrovati sull’acropoli di Vetulonia nel 1904, sono circa una decina le armi di questa tipologia contraddistinte da iscrizioni come quella appena ritrovata, registrate in ambito etrusco e italico tra il VI e il III secolo a.C.
Si tratta, quindi, di un ritrovamento molto raro che fornisce elementi importanti per la ricostruzione dell’organizzazione militare e della crescita dell’arte della guerra nell’Italia preromana.
Sulla base del suo esame tipologico e dei dati emersi dalla presenza degli altri oggetti del corredo della tomba 55 – tra le più ricche tra quelle contemporanee ritrovate a Vulci – la deposizione dell’elmo potrebbe risalire alla metà del IV secolo a.C., un periodo contraddistinto dai grandi contrasti tra popoli per il controllo sulla penisola o anche solo per la stessa vita, messa alla prova dall’arrivo dei Celti.
L’elmo di Vulci si inquadra perfettamente in questa situazione e, grazie alla sua iscrizione, narra la storia della vita di un guerriero di quel tempo, anche se non si può stabilire con certezza se il nome ritrovato sia lo stesso di quello del suo ultimo proprietario. La lettura non si rivela particolarmente problematica e permette di risalire a una sequenza di sette lettere collocate ai lati di un ribattino: “harnste”.