Foto: 1) Raffaello Sanzio, Madonna Aldobrandini, 1510 circa, Olio su tavola, National Gallery, Londra; 2) Raffaello, Ritratto di donna detto 'La gravida', Firenze, Galleria Palatina di Palazzo Pitti; 3) Raffaello Sanzio, La Muta, 1507, olio su tavola, Galleria Nazionale delle Marche, Urbino; 4) Timoteo Viti, Noli me tangere, olio su tavola, Chiesa di Sant'Angelo Minore, Cagli;
Dopo l’anno dedicato a Leonardo, un altro mito al centro dell’attenzione del grande pubblico. Raffaello scomparso giovanissimo al culmine della gloria, nel 1520 a soli 37 anni, destinato a fama imperitura, viene celebrato a Urbino, la città in cui è nato nel 1483, nel cinquecentesimo anniversario della scomparsa con la prima di una serie di manifestazioni programmate in Italia e all’estero. Dalle Scuderie del Quirinale alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano, dalla National Gallery al Victoria & Albert Museum di Londra, al Louvre di Parigi. E dal 13 dicembre, “veneratissimo” dai tedeschi che già all’inizio dell’Ottocento ne erano innamorati, è protagonista alla Gemaldegalerie di Berlino dell’esposizione dedicata alle cinque Madonne di proprietà del Museo dipinte dall’artista all’inizio della carriera fra cui la “Madonna Colonna” che è stata esposta a Urbino fino a novembre, sostituita ora da un fac simile.
La mostra “Raffaello e gli amici di Urbino”, che ha richiesto tre anni di preparazione, aperta dal 3 ottobre al 19 gennaio presso la Galleria Nazionale delle Marche di Palazzo Ducale, presenta circa ottanta opere fra cui una decina del genio urbinate, fra disegni, incisioni, dipinti, cartoni, provenienti da prestigiosi istituti museali italiani e stranieri, Gallerie e Gabinetti delle stampe. Come i Musei Vaticani, il Louvre di Parigi, gli Uffizi, il British Museum di Londra, l’Albertina di Vienna.
Curata da Barbara Agosti e Silvia Ginzburg con la direzione di Peter Aufreiter, direttore del Polo e della Galleria Nazionale delle Marche, pone l’accento sul periodo iniziale, il meno conosciuto e indagato della parabola artistica di Raffaello, ma non solo, precisa Aufreiter. In realtà riguarda tutta la vita del pittore nato a Urbino, formatosi col padre Giovanni Santi che aveva un avviatissimo studio e morì quando era bambino, e poi in Umbria col Perugino. Con uno sguardo particolare all’ambiente culturale e ai rapporti con gli artisti impegnati alla corte dei Montefeltro, con Luca Signorelli e Domenico Beccafumi. “La mostra indaga e racconta – precisa Aufreiter – per la prima volta in modo così compiuto il mondo delle relazioni di Raffaello con un gruppo di artisti operosi a Urbino che lo accompagnarono in dialogo, ma da posizioni e con stature diverse. E permette di seguire i suoi sviluppi stilistici durante la memorabile stagione romana”. Fondamentale nella formazione e nel primo tratto della sua attività la presenza del padre, di Perugino e Signorelli e in parallelo dei più maturi concittadini Girolamo Genga e Timoteo Viti che ebbero rapporti con lui durante il periodo fiorentino e nel primi tempi a Roma. Un percorso comune, un retroterra di esperienze condivise fino all’inevitabile stacco del “divin pittore”. Un’occasione – dicono le curatrici – di misurare in un contesto specifico di estrema rilevanza come quello urbinate e nelle sue tappe maggiori, la grande trasformazione che coinvolse la cultura figurativa italiana nel passaggio tra il Quattro e Cinquecento.
Filo conduttore della rassegna l’attività dei pittori urbinati Timoteo Viti (1469 – 1523), Girolamo Genga (1476 – 1551), poco conosciuti ma degni di attenzione, e Raffaello Sanzio (1483 - 1520). Diversi per età, per talento, per formazione, si allontano dalla loro città desiderosi di aggiornarsi, ma percorrendo strade differenti, lontani due di loro mille miglia dalla fama di colui che appariva baciato dal genio. Seguendo il loro percorso si può cogliere il passaggio dalla pittura del tardo Quattrocento al fiorire della Maniera moderna. Un modo per capire quanto importante per l’artista e la sua crescita sia stato il contesto cittadino. Fondamentale il ruolo dei pittori umbri nella formazione e nel primo tratto dell’attività di Raffaello e in parallelo dei concittadini di alcuni anni più maturi di lui, Genga ex allievo di Signorelli e Viti.
La rassegna si apre con Raffaello giovane e gli esordi di Viti che si era formato a Bologna con Francesco Francia che insieme a Perugino intendeva prendere le distanze dalle “crudezze quattrocentesche”. Il pittore, secondo le parole di Vasari, che aveva portato la pittura verso “una dolcezza ne’ colori unita” del tutto nuova, ma presto spazzata via dalle innovazioni leonardesche. Il contatto con gli amici pittori determina la diffusione delle invenzioni raffaellesche nell’ambiente umbro-marchigiano.
Nella prima sala opere di Francesco Francia, Genga, Viti, Pinturicchio, Signorelli e di Perugino la Predella con le storie della Vergine della Pala di Fano della Chiesa di S. Maria Nuova dei francescani osservanti in cui compare un possibile intervento del giovane Raffaello. Si prosegue col cruciale soggiorno di Raffaello nel primo decennio del secolo a Firenze presentato al gonfaloniere Pier Soderini da Giovanna Feltria figlia di Federico da Montefeltro (ultima esponente della famiglia, moglie di Giovanni Della Rovere), e Siena, un crogiuolo di esperienze che si riverbera in una cifra stilistica incomparabile. Sono di questi anni capolavori assoluti come la “Madonna Colonna”, frutto di un dialogo con Michelangelo, la “Madonna Conestabile” da San Pietroburgo, la “Gravida” degli Uffizi, “La Muta” di Urbino. Nella terza sala si segue il travolgente percorso di Raffaello nella Roma di Giulio II Della Rovere. In mostra ancora due splendide Madonne, la precoce “Madonna Mackintosh” ancora legata alle esperienze fiorentine e la “Madonna Aldobrandini” che risente dell’impatto con la volta della Cappella Sistina e del colore sperimentato negli affreschi della Stanza di Eliodoro. E ancora nello stesso ambiente, detto Sala banchetti e Cappellina dove si trova il sepolcro di Guidantonio da Montefeltro padre di Federico, oltre i tre dipinti di Raffaello, su una base dal Palais des Beaux Arts di Lille il meraviglioso disegno “Sacra famiglia con melagrana” con un’iscrizione autografa posta sul verso del foglio da cui risulta che il maestro inviò questa invenzione a “meneco”, ovvero al pittore umbro Domenico Alfani, la cui vita s’intreccia più volte con quella di Raffaello. In cambio avrebbe dovuto mandargli gli ”istramboti de Riciardo di quella tempesta che ebbe andando in un viaggio”. Su una parete spicca il cartone per la “Madonna Mackintosh”.
Quindi due sale dedicate in particolare all’attività svolta dall’artista nella Roma di Giulio II e di Leone X. Opere di particolare importanza. E in un crescendo di emozioni ecco il grandioso cartone per il Mosè inginocchiato davanti al roveto ardente che prepara la figura che compare per una delle scene affrescate sul soffitto della Stanza di Eliodoro. Il Cartone che viene da Napoli, Museo Real Bosco di Capodimonte, è a uno stadio avanzatissimo di elaborazione, una vera e propria opera d’arte autonoma. Tanto è vero che vi era uno statuto che difendeva gli autori. Raffaello fece dono di cartoni in più occasioni a mecenati e committenti. In mostra anche uno dei due tondi in bronzo realizzati su disegno di Raffaello per la facciata della Cappella di Agostino Chigi in Santa Maria della Pace. Raffaello chiamò Timoteo Viti ad affiancarlo nel cantiere decorativo romano, in cui Vasari registrava “una nuova maestosità, esito di un precoce impatto con la volta sistina”. Si passa quindi all’attività di Genga in Romagna, all’epilogo urbinate di Viti e infine all’eredità di Raffaello. Scomparso nell’aprile 1520, Genga resta attivo a Roma, una città quella di Adriano VI molto diversa dalla Roma brillante di Leone X. Erede maggiore del patrimonio di disegni di Raffaello è Giulio Romano che sviluppa la sua lezione formale e tecnica facendo proprie le importanti commissioni rimaste in sospeso e acquisendone di nuove, catalizzando l’attenzione di artisti di tutta Europa. Accanto a lui emerge Raffaellino del Colle. In mostra di Raffaello e Giulio Romano il grandissimo cartone per la pala con la “Lapidazione di Santo Stefano” dei Musei Vaticani, raramente visibili per la sua fragilità. Il quadro si trova nell’omonima chiesa di Genova.
Galleria Nazionale delle Marche - Palazzo Ducale di Urbino- Piazza Rinascimento 13 Urbino. Orario: da martedì a domenica dalle 8.30 alle 19.15; lunedì dalle 8.30 alle 14.00; giorni di chiusura 25 dicembre, 1 gennaio. Fino al 19 gennaio 2020. Informazioni: tel. 0722 – 2760 www.gallerianazionalemarche.it